Chiesa parrocchiale di S. Martino
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Da Casalis (Dizionario geografico degli Stati di S.M. il re di Sardegna, 1837)

L'epoca assegnata da s. Gregorio Turonense all'erezione di tali sacri edifizii è appunto il fine del secolo IV dell'era cristiana, cioè il tempo in cui si pretende che sorgesse la primitiva parrocchia di Ormea , sulla collinetta di s. Martino, sotto il patrocinio del quale era posta quella parrocchia. La poca distanza di Ormea dall'isola Gallinaria in cui, secondo che narra Sulpizio Severo, rifuggiossi il vescovo s. Martino per sottrarsi alle persecuzioni di Ausenzio vescovo ariano, e vi stette insino all'anno 358 (V. Isola Gallinaria, vol. VIII, pag. 555), è probabilmente la cagione per cui gli ulmetesi novellamente convertiti alla fede di Gesù Redentore, dedicarono allo stesso vescovo s. Martino la prima loro chiesa, che venne subito retta dai monaci Benedittini , i quali assunsero pure il regime dalla maggior parte delle altre chiese titolate allora col nome del medesimo santo vescovo. Nelle memorie relative ad Ormea rimangono i nomi di due monaci di s. Benedetto, i quali ne ressero l'antica chiesa, cioè Battista Battareto nel 1200, e Lanteri Giovanni nel 1500: il primo di essi compilò in latino i primieri statuti di Ormea.
Di quell'antichissima parrocchia più non rimangano che poche vestigie della fondamenta ora dal terreno coperte: le dimensioni che ne furono prese fanno credere che quel sacro edilizio potesse contenere non meno di due mila persone.
La presente chiesa parrocchiale è dedicata parimente a s. Martino vescovo: ha tre navate sorrette da pilastri , ed è quasi sul disegno della metropolitana di Torino: venne costrutta verso la metà del secolo decimoquinto; e fu consecrata la prima volta da Andrea Novelli vescovo d'Alba nel 1490. Da principio era essa troppo ristretta per la numerosa popolazione, che vi accorreva nei giorni festivi da tutte le villate del territorio

Circa il 1612 fu per tale motivo ingrandita del coro, e delle tre cappelle superiori: le quali ampliazoni si eseguirono per le soliccitudini del clero e dell'università del luogo, come lo attestava un'iscrizione sul marmo, che leggevasi ancora nell'anno 1670.