Helleborus foetidus L.
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Famiglia: Ranuncoleceae

Nome volgare: Elleboro puzzolente

 

 
Portamento -Fiori - Foglie - Frutto - Semi

Caratteristiche Pianta erbacea, perenne, suffruticosa, alta sino a 80 cm.
Fusto legnoso alla base, poi strisciante ed infine eretto.
Foglie. sempreverdi, di colore verde molto scuro, le inferiori sono palmate, finemente suddivise in 3-9 lobi, di dimensioni notevoli , sino a 30 cm, hanno margine dentato. Verso l’apice del fusto le foglie assumono aspetto ovato e sono intere.
I fiori sono infiorescenze globose, di colore verde-giallognolo con margine rossastro, hanno diametro di 2,5-3 cm e odore molto sgradevole.
I frutti sono acheni con rostro uncinato.

Habitat: Terreno fresco, ai bordi dei sentieri. 0-1000 m.; fiorisce a gennaio aprile

Diffusione Comune

Altre specie Helleborus viridis L. - Helleborus niger L. Tutti gli ellebori sono velenosi.

Sostanze contenute Principi attivi: alcaloidi (elleborina, protoanemonina), saponina, olio essenziale.

Parti velenose della pianta Tutta la pianta.

Proprietà farmaceutiche: Tossico. L'elleboro fetido ha proprietà vermifughe e narcotiche ma, è assolutamente sconsigliata l'automedicazione.

Nota L'essiccazione non riduce la tossicità della pianta per cui il fieno contenente gli ellebori è velenoso.

Curiosità Vale la pena ricordare che il termine generico Helleborus deriva dal greco e significa "cibo mortale", a rammentare la pericolosità di queste piante.

 

Dal libro "Piante velenose" di Appendino- Luciano - Colombo - Gatti. ed. ArabaFenice - Boves.

L'elleboro è una della piante più celebri della medicina greco-romana, e la sua radice era utilizzata per il trattamento della follia. "Così matto che neppure un campo di elleboro ti guarirebbe" è un modo di dire latino documentato in Plauto e Orazio. L'utilizzo risalirebbe alla guarigione miracolosa delle figlie di Preto, che furono curate dalla pazzia (pensavano di essere delle mucche e giravano nude per i boschi) con il latte di una capra avvelenata con l'elleboro. La velenosità della pianta era ben conosciuta, e l'elleboro ha il primato, poco invidiabile, di essere stata la prima arma chimica di cui esiste documentazione storica. Pausania ne parla a proposito della guerra fra la lega di Delfo e la città di Crissa, che si contendevano il primato per il culto di Apollo. Per consiglio di Solone, le acque del fiume Pleisto che bagnava la città, furono avvelenate con elleboro. Dopo aver bevuto l'acqua avvelenata, i difensori della città furono colti da diarrea ostinata, e furono facile preda degli ateniesi, che conquistarono e saccheggiarono la città. L'elleboro potrebbe aver giocato un ruolo importante nella storia del mondo antico, dato che una delle ipotesi più accreditata per la morte di Alessandro Magno è quella che il condottiero macedone sia morto per un "overdose" di questa pianta, che gli era stata prescritta per il trattamento di una malattia febbrile, forse la malaria, che aveva contratto nel corso delle sue conquiste asiatiche. L'elleboro è effettivamente un cocktail di principi velenosi, che comprende glicosidi cardiaci strutturalmente correlati a quelli della digitale, saponine e ranunculina, un glucoside che genera per idrolisi enzimatica una vera e propria "bomba" chimica, la protoanemonina, composto estremamente irritante che con il tempo dimerizza però a anemonina, non tossica. Questa è la ragione per cui la pianta perde il potere irritante (ma non la velenosità!) con l'essiccamento. Sono riportati casi di avvelenamento letale da elleboro in animali da reddito. Un caso recente di avvelenamento umano, per fortuna non letale, è stato riportato in Italia.